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Acciaio, le imprese consumatrici temono le concentrazioni

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18 marzo 2009

La progressiva concentrazione dei colossi siderurgici sta trasformando le abitudini degli utilizzatori di acciaio. E la platea degli acquirenti rischia di perdere potere contrattuale a fronte di costante rafforzamento della contro parte. Soprattutto in Italia, un Paese dove la frammentazione degli end user rischia di comportare un aggravio di costi per l'intero comparto. È l'allarme che lancia Rino Ferrata, docente di Business policy all'Università degli studi di Brescia e autore di una ricerca ("L'acciaio visto dalla parte degli utilizzatori") che sarà presentata giovedì 19 a Brescia, in occasione della seconda giornata di appuntamenti di Made in Steel, la fiera dedicata alla filiera dell'acciaio.

L'indagine mette in luce anzitutto gli effetti integrati delle dinamiche economiche di questi ultimi anni sull'intero settore: il fenomeno Cina da una parte (e il suo impatto sull'equilibrio mondiale tra domanda e offerta); la globalizzazione dei mercati, dall'altra (e il conseguente appiattimento delle modalità di consumo e di transazione); infine la difficile congiuntura economica attuale. Tre fenomeni che hanno ribaltato il mondo della siderurgia. "Il settore è diventato oggetto di forti investimenti e di scambi internazionali – spiega Ferrata – Abbiamo assistito a una lunga serie di importanti fusioni e acquisizioni grazie alle quali il sistema di offerta è mutato quanto e forse ancor più della domanda, facendo nascere colossi da centinaia di milioni di tonnellate di capacità produttiva, primo fra tutti ArcelorMittal. Da questi fenomeni non può non essere interessata la catena distributiva, che ora dovrà necessariamente evolvere".

Il problema riguarda in particolare la distribuzione italiana che è segnata da una parcellizzazione e diffusione sul territorio che non hanno confronto con altre esperienze europee: elementi che nei fatti costituiscono insieme forza e debolezza. "Quella italiana è un realtà fragile: di norma la forza contrattuale nei confronti della produzione è minima ma questo costituisce anche un veicolo di valore aggiunto per gli utilizzatori, che godono di servizi preziosi in termini di presenza sul territorio, di gamma a disposizione e di competenze in chiave di problem solving", dice il docente.

Eppure gli effetti della concentrazione dell'offerta sul mondo della distribuzione saranno sempre più evidenti in futuro. "Le economie di scala e le dimensioni medie della capacità produttiva installata oggi sono tali da esigere sbocchi di mercato il più possibile stabili e programmabili: fino a quando la crescita della domanda era costante questa ipotesi era in qualche modo garantita e non ha determinato elementi di rottura nel sistema. Adesso che la crisi morde ovunque, la produzione deve gestire il rapporto con i distributori". Cosa accadrà adesso? "Non mancheranno acquisizioni nel segmento della distribuzione, ma anche manovre volte a rafforzare la complementarietà strategica con gli operatori che gestiscono le quote di mercato più interessanti".

Uno schema già provato dal mondo della distribuzione dei prodotti petroliferi. "In questo caso la distribuzione avviene attraverso una rete anche capillare di punti vendita, che però non hanno alcuno spazio di manovra nel rapporto con il cliente: i prezzi sono praticamente imposti, la fidelizzazione dell'automobilista avviene grazie a programmi progettati dalle compagnie petrolifere e il modello di esercizio è cambiato, sostituendo il self servicing alla distribuzione tradizionale, con il costo del carburante calcolato sul nuovo modello distributivo: un effetto, apparentemente banale, di questa catena di comando è che servizi prima ovvi e che non era nemmeno pensabile dovessero essere pagati, come l'erogazione, diventano ora una prestazione aggiuntiva ed onerosa".
Come dire: gli interessi strategici della produzione finiscono per incidere sul modello di business di chi distribuisce. E necessariamente anche l' offerta a favore degli operatori finisce per risentirne. Il rischio finale, denuncia Ferrata, è che "la distribuzione diventi sempre più costosa e al contempo avara di valore aggiunto e di servizi alle imprese, che dovranno così sostenere costi aggiuntivi per avere ciò che ora è accessibile a condizioni di assoluto vantaggio".

(L.D.)

18 marzo 2009
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